sabato 6 giugno 2009

OGGETTI SMARRITI


Il parco quella mattina era luminoso e colorato. Le ginestre, di un giallo acceso, spiccavano tra il verde del prato. Benedetta passeggiava chiudendo a tratti gli occhi e rivolgendo il viso verso il sole per carpirne il calore. Quando chiudeva gli occhi vedeva tante pagliuzze dorate che la divertivano.
Si sedette sull'erba ed il suo sguardo fu attratto da un cerchietto dorato. Lo raccolse e rigirandolo tra le dita capì che era una fede matrimoniale . Osservandola con più attenzione si rese conto che era molto larga e consunta. Poi vide incisa all'interno la data delle nozze ed il nome della sposa. Le nozze erano avvenute 57 anni fa e la sposa si chiamava Ester.
Facendo due conti Benedetta capì che la persona che l'aveva persa doveva essere per forza un uomo anziano. Provò un forte dispiacere per lui perchè quell'anello poteva racchiudere parte della sua vita. Si guardò attorno per verificare se qualche vecchietto cercasse qualcosa in mezzo al prato ma non scorse nessuno. Benedetta immaginava che il proprietario dell'anello fosse un uomo alto, grosso, canuto, rattristato per tale perdita.
Quella notte la bimba non riuscì a dormire. Voleva rendere l'anello al legittimo proprietario ma non sapeva come fare. Teneva l'anello sempre con sè. Ogni tanto lo sfiorava fantasticando che quel piccolo oggetto racchiudesse una vita intensa , piena di gioie e dolori. Lei era solo una bambina ma stranamente quel piccolo oggetto iniziò a rappresentare un legame con un tempo lontano. Chissà come vivevano le persone in quel periodo , che musica ascoltavano e che abiti indossavano. Iniziò ad informarsi, tempestando di domande i suoi nonni e trascorrendo molto tempo con loro per farsi raccontare storie di epoche lontane e anche da loro vissute. Man mano incominciò a guardare i suoi nonni con occhi diversi: non li vedeva solo come persone anziane, ma anche come bambini, adolescenti, innamorati, genitori.
Raccontò loro dell'anello ed insieme decisero di trovare il proprietario. Misero tanti cartelli nel parco ma un forte vento li fece volare quasi tutti e nessuno si fece vivo. Passò qualche mese. La fede che Benedetta portava sempre con sè era ormai senza proprietario. Un giorno la bimba passò nel parco e si mise ad osservare alcuni cani che giocavano animatamente con un anziano signore. Egli era alto, corpulento ed aveva i capelli bianchi. Istintivamente si avvicinò ed iniziò a parlare con lui. Aveva un volto gentile e gli occhi azzurri di un bambino. Benedetta lo subbissò di domande e lui rispose quasi divertito da tanta curiosità. Parlò a lungo dei nipotini , della moglie e quando Benedetta gli chiese il nome di quest'ultima capì che era il proprietario dell'anello.
Commossa e felice gli chiese come mai non portasse al dito la fede matrimoniale . L'uomo sospirò e disse che l'aveva smarrita. Era molto dispiaciuto per tale perdita perchè non si era mai separato da quell'oggetto che rappresentava una parte importante della sua vita.
La bambina comprese che era arrivato il momento di separarsi dall'anello; lo prese dalla tasca e lo rese all'uomo. La sua felicità fu così evidente che Benedetta capì come anche il più piccolo oggetto, all'apparenza banale , potesse in realtà racchiudere un profondo significato per gli altri.

Adima Gabriela

martedì 24 marzo 2009

ASPETTANDO LA PRIMAVERA...


L'inverno quell'anno continuava ad imperversare e così nebbia, pioggia, neve e vento gelido erano all'ordine del giorno. Ormai era già il tempo della primavera ma sembrava che il grande vecchio inverno non volesse più saperne di levare le tende. Le persone sospiravano, il sole era arrabbiato, i bambini guardavano tristemente il cielo chiusi nei loro appartamenti. Anche i fiori desideravano sbocciare e gli animali erano stanchi di dormire.
Ma come mai il grande vecchio non se ne andava via per far spazio alla primavera? Quest'ultima scalpitava. Profumata e ricoperta di fiori colorati, da giorni era pronta a fare un luminoso ingresso ma non riusciva a rompere la cappa invernale. In fin dei conti era il suo turno e per tale motivo fremeva indispettita. Se l'inverno non si voleva spostare ci avrebbe pensato lei a regolamentare i turni con quel rimbambito.
Ma intanto il tempo passava ed il 21 Marzo era già trascorso da un pezzo.
Un giorno la primavera, sempre più inviperita, visto che nulla era mutato, si armò di ombrello e cappotto e si recò nella casa che l'inverno occupava abusivamente.
Appena arrivata, senza bussare, spalancò la porta. La colpì un forte odore di muffa che contrastava con il delicato odore dei suoi fiori. Un pò al buio cercò tentoni l'inverno finchè intravide una figura rannicchiata su una vecchia poltrona. Era lui! Si accostò con intenzioni bellicose quando lo sentì tossire e starnutire. Era influenzato, ecco perchè non se ne andava via. Semplicemente non poteva! Decise di aiutarlo anche perchè vicino a lui sentiva già certi doloretti alle ossa...Gli preparò bevande calde, minestrine insipide, gli somministrò pozioni strane e disgustose e dopo alcuni giorni il vecchio finalmente guarì. Si alzò dalla poltrona, ringraziò con un mugugno la primavera e si allontanò avvolto nel suo pastrano umido e nevoso. Conciato così stupiva che non si fosse beccato una broncopolmonite.
Come il vecchio inverno uscì, seguito da una folata di vento gelido, la casa si riempì immediatamente di luce e tepore. La primavera rassettò tutto ed eliminò l'odore invernale spalancando le finestre.
Pian piano i fiori sbocciarono, gli animali si svegliarono dal loro letargo ed i bimbi riempirono i giardini con le loro grida festose. Il sole finalmente si rilassò. Era stufo di avere gli occhi coperti dalle nubi con il rischio di andare sempre a sbattere dappertutto. Si mise ad osservare tutto quel fermento, si tolse la sciarpa ed il cappello lanciandoli per aria e stiracchiò pigramente i suoi raggi luminosi.

Adima Gabriela

domenica 1 marzo 2009

I SEGRETI DEGLI ALTRI



La cassetta della posta era attaccata fin dal tempo dei tempi allo steccato della vecchia villa. Alcuni rami e foglie la coprivano parzialmente , quasi accarezzandola. La cassetta sentiva il peso degli anni, l'umidità della pioggia, il soffio freddo e fastidioso del vento in inverno e quello lieve e rinfrescante d'estate.
Era amica degli uccellini che si posavano su di lei facendole il solletico e ammirava le farfalle colorate che la lambivano con le ali sottili come garze.
La villa dove viveva, si fa per dire, era antica e lei conosceva i suoi proprietari fin dalla loro nascita. Conosceva anche le storie della loro vita , i loro segreti, le gioie ed i loro tormenti.
Era una cassetta della posta un po' pettegola e leggeva tutte le lettere che arrivavano numerose nelle buste bianche ed a volte colorate. Adesso doveva risolvere una vecchia faccenda causata da una lettera che, purtroppo, da tanto tempo, si era incastrata, all'insaputa del proprietario in una sua fessura. Ma andiamo per gradi.
Angelina, la proprietaria della villa , era una signora di mezza età. Aveva a suo tempo dipinto dei bellissimi quadri, tanto da esporli a Parigi in una mostra. Un quadro, in modo particolare, racchiudeva tutta la sua vita, ogni colore ne rappresentava una tappa. Quel quadro sparì, così all'improvviso, causandole un forte dispiacere. Non fu più ritrovato. Angelina per tanto tempo lo cercò, ma dopo, suo malgrado, si rassegnò. Da allora non dipinse mai più. Tutte le lettere di ricerca partirono e tutte le risposte negative arrivarono, tranne una, perchè si fermò nella cassetta della posta.
Il quadro di Angelina era stato ritrovato da un bambino in un vecchio deposito di scartoffie. I suoi colori erano così intensi e luminosi che il bimbo si sentì immediatamente attratto dal quel quadro. Nonostante la polvere, ed i cupi oggetti che lo attorniavano, riuscì a prenderlo. II piccolo chiese al padre di acquistarlo e lo appese nella sua cameretta. I colori lo rendevano felice e per tale motivo non si stancava mai di osservarlo. Un giorno notò anche la firma di Angelina ed incuriosito ritornò dal rigattiere, per capire come mai il quadro fosse finito nel negozio. Scoprì che il quadro, destinato ad una mostra, era finito per errore , o forse rubato, dal rigattiere. Il piccolo parlò con il padre e finalmente riuscì a scoprire, dopo lunghe ricerche, dove viveva Angelina. La lettera del ritrovamento del quadro venne spedita ma si fermò in una fessura della cassetta della posta.
Quest'ultima cercò in tutti i modi di disincastrarla ma non ci riuscì. Un giorno una piccola farfalla entrò dentro la buca per ripararsi dal vento e con le sue ali riuscì a tirar fuori la lettera dalla fessura. Era fatta!
Angelina una mattina aprì la cassetta e trovò la lettera. Era un pò ingiallita e con una data alquanto vecchia. L'aprì , la lesse e subito dopo partì per riprendersi il suo quadro. Conobbe il bimbo che, per tutto quel tempo, aveva preservato la sua opera e lo ringraziò insegnandogli l'arte dei colori.
Il quadro ritornò nella villa e con lui l'allegria di Angelina. La cassetta della posta, unica artefice del ritrovamento del quadro, riprese la sua vita pettegola ed a volte sonnacchiosa.

Adima Gabriela

domenica 14 settembre 2008

UN MARE DI PETTEGOLEZZI


Questa favola è stata scritta insieme a Daniele Tavano che quest'anno ha iniziato a frequentare la scuola media.

La spiaggia era dorata e solitaria. Tutto sembrava tranquillo. Ma era solo una tranquillità apparente. Nel mare i pesci erano in subbuglio, nuotavano freneticamente da una parte all'altra perchè avevano saputo che il feroce squalo Onofrio aveva i denti cariati e quindi per un bel pò sarebbero stati tranquilli. Il pesce palla, famoso per i suoi pettegolezzi, rimbalzava da una parte all'altra gridando a squarciagola: "Edizione straordinaria! Edizione straordinaria! Lo squalo ha i denti cariati perchè non li ha mai lavati!" Il pesce pagliaccio, per fare onore al suo nome, imitava lo squalo con i denti cariati facendo ridere tutti gli altri pesci.
Lo squalo Onofrio era molto arrabbiato: aveva fame, il dolore era insopportabile ma soprattutto non voleva essere considerato uno sciattone che non si lavava i denti. Ne andava della sua reputazione!
Perciò si recò dal polipo e gli disse: "Devi riferire a quel pettegolo del pesce palla che io mi lavo sempre i denti e quando il pesce dentista mi avrà curato lo sbranerò in un solo boccone!"
Il pesce palla, preoccupato per la sua incolumità, ma volendo apparire impavido con gli altri pesci, ricominciò a spettegolare con il pesce pagliaccio raccontandogli che lo squalo aveva minacciato di sbranarlo ma solamente perchè la paura del pesce dentista lo rendeva nervoso. In realtà, il pesce palla temeva veramente che, dopo le cure del pesce dentista, il bestione l'avrebbe mangiato in un sol boccone. Per confondere le acque (si fa per dire) si recò quindi dal pesce dentista dicendogli:"Lo squalo ha detto che dopo che l'avrai curato ti sbranerà!"
Il pesce dentista, a sua volta terrorizzato, non sapeva cosa fare : curare o non curare...questo era il dilemma. Ma qualunque decisione gli veniva in mente lo portava irrimediabilmente nella pancia dello squalo.
Quando quest'ultimo arrivò, nervoso e sbuffante, chiedendogli di curare i suoi dentoni, il pesce dentista, tremante gli disse :"Non ricordo più dove ho messo le pinze e le tenaglie e quindi non posso curarti."
Lo squalo, sempre più accecato dal dolore, si arrabbiò e con un colpo di pinna costrinse il pesce dentista a rinfrescare la sua memoria in un battibaleno. Il pesce dentista, lemme lemme, si accinse a curare lo squalo. Sudando sette camicie, sbuffando e imprecando estrasse i due grossi dentoni anteriori di Onofrio.
Lo squalo si sentì improvvisamente sollevato: il terribile dolore era passato! Si guardò in uno specchio d'acqua ed al posto dei due dentoni vide però due orribili buchi : la sua reputazione di predatore dei mari era a repentaglio. Sarebbe stato additato come un mangiatore di semolino!
Disperato si prese la testa tra le pinne. Il pesce dentista, impietosito, aiutato dal pesce sega prese due grossi pezzi di corallo bianco e grazie al pesce lima ottenne due grossi dentoni finti bianchi e splendenti. Un vero capolavoro. Con il pesce martello li inserì al posto dei denti mancanti. Quando il lavoro fu finalmente concluso lo squalo si guardò nello specchio d'acqua: si piacque così tanto da pensare di acquistare ulteriore fascino facendosi crescere due bei baffoni neri. Sarebbe stato un predatore rubacuori!
Il pesce dentista, nel frattempo, aspettava impaurito di finire nelle fauci di Onofrio. Chiuse gli occhi in attesa della fine. Sentì invece un deciso colpetto di pinna ed un sommesso grazie. Dopodichè lo squalo Onofrio si allontanò nei gelidi abissi marini. Il pesce dentista, rianimatosi immediatamente e felice di essere ancora vivo, capì che lo squalo non era poi così cattivo e come tutti i pesci mangiava gli altri solo per poter sopravvivere.
Si recò pertanto dal pesce palla e dal pesce pagliaccio dicendo ad ambedue che con il loro comportamento avevano semplicemente dimostrato di essere due pettegoli poco affidabili. I due pesci capirono di aver sbagliato e da allora impararono a farsi i fatti loro.

Adima Gabriela e Daniele


domenica 18 maggio 2008

TUTTI INSIEME AFFETTUOSAMENTE


La strega Mantù aspettava stizzita sotto la grande quercia le altre streghe. Erano in ritardo e lei, pignola com'era, sbuffava come un mantice.
Finalmente le vide arrivare a cavallo delle loro scope di saggina. Sembravano agitate, parlavano in modo concitato. "Galline"-pensò Mantù-"sembrano solo tante galline!"
Le streghe planarono sul prato e non la degnarono di uno sguardo:"Sono anche maleducate!" ripensò Mantù. Si accostò a loro e capì il perchè del loro comportamento: avevano tra le braccia un neonato piccolo e paffuto. L'avevano trovato abbandonato nel bosco e preso con loro. Mantù sbuffò e gridando chiese:"Cosa pensate di fare! Non potete tenerlo! Voi siete delle streghe, non delle bambinaie. Riportatelo dove l'avete trovato!"
Le streghe si rifiutarono di obbedirle. Nel bosco il bimbo sarebbe stato divorato dagli animali feroci. Pertanto l'avrebbero tenuto con loro. Glielo dissero a muso duro e Mantù si arrese alla loro ferma decisione. Ma disse chiaramente che avrebbero dovuto provvedere loro al neonato perchè lei non voleva seccature di tal genere.
Arrivò la notte. Il piccolo, anzi la piccola, iniziò a piangere con forza. Aveva fame. Le streghe, tutte agitate, si alternarono, riuscirono a procurarsi il latte da una capretta ma la notte fu alquanto movimentata e interminabilmente lunga. Bisognava cambiare la neonata, darle il latte, ricambiarla, farle la ninna nanna, ricambiarla ancora e ancora...era proprio un duro impegno...
Stremate le streghe decisero di ricorrere alla magia ed in un attimo apparvero culla , panni puliti, latte di capra, creme al miele, mentre loro , come tante mamme affettuose, ogni due ore si davano il cambio per accudire e coccolare la bimba.
La neonata gorgogliava soddisfatta , aveva gli occhi azzurri ed intensi e per tale motivo le streghe la chiamarono Zaffira.
Mantù fremeva, la piccola aveva ormai irrimediabilmente scombussolato la loro vita. La bimba però le piaceva . Di nascosto la osservava e quando un giorno Zaffira le strinse un dito qualcosa di strano sconosciuto si smosse dentro di lei. Poi si vergognò della sua debolezza e riprese la sua espressione arcigna, ma solo per un pò. L'importante era non far trapelare con le altre streghe il suo sentimento d'affetto per la bimba. Non voleva rimetterci la sua reputazione.
Passarono i mesi e gli anni. Zaffira cresceva felice, ci furono varie ricorrenze: il primo dentino, i primi passi, la prima caduta, la prima parola: mamma. Le streghe, alla parola mamma si sentirono felici, anche Mantù , che in cuor suo amava la piccola e non poteva più fare a mano della sua presenza. Zaffira fu mandata a scuola dal Gufo della foresta. Era intelligente e curiosa, divenne subito una brava allieva. Era anche molto vivace e spesso le piume del Gufo risentirono di tale vivacità. Il Gufo non era preparato ad affrontare un tale impegno, ma temendo che le streghe potessero trasformarlo in un lombrico, ce la mise tutta.
Passarono gli anni. Zaffira era ormai un giovane fanciulla bella ed intelligente. Un giorno conobbe un giovane fattore e con lui l'amore. Le streghe notarono l'aspetto trasognato della ragazza e capirono che entro breve Zaffira le avrebbe lasciate. Il pensiero le spaventò, spaventò anche Mantù che in tutti quegli anni aveva sempre protetto la fanciulla da tutti i pericoli, in modo attento e discreto.
Seppur a malincuore capiva che ora Zaffira doveva volare via da sola, come tutti i bambini che diventano improvvisamente grandi.
Zaffira arrivò un giorno con il giovane fattore per presentarlo alle "sue mamme". Il fattore quando vide tutte le streghe si spaventò e pensò:"Va bene una suocera...ma sei tutte insieme...!"
Dopo guardò Zaffira e capì che se lei era una creatura così speciale lo doveva sicuramente al gruppo di streghe che con tanto amore l'aveva allevata . Le guardò meglio e non vide più facce rugose e nasi adunchi , ma occhi profondi e amorosi che guardavano con intenso affetto Zaffira.
Capì che le loro vite erano ormai intrecciate per sempre e si sentì felice.
Adima Gabriela






venerdì 25 aprile 2008

PIEDI, PIEDINI, PIEDONI


La giornata primaverile era calda e soleggiata. Rachele decise di raggiungere le sue amiche sulla spiaggia per trascorrere una giornata all'aperto, all'insegna dei giochi.
Arrivò di corsa sulla spiaggia, buttò le sue scarpe accanto ad un cespuglio ed assaporando il contatto della sabbia sui piedi nudi, giocò a lungo con le sue amiche.
Alla fine, stanca per le continue corse, decise di rientrare a casa. Cercò le sue scarpette ma non le vide. Preoccupata di dover camminare scalza le cercò con una certa apprensione ma non le trovò da nessuna parte. Si guardò attorno ed alla fine le vide...camminavano da sole!
Con un balzo le afferrò ma le scarpe non camminavano da sole...dentro c'era un piccolo gnometto che, spaventato, le morse un dito. "Ahi! Oltre che un ladro sei anche violento!"disse Rachele. Lo tenne stretto e le scarpe caddero sulla sabbia facendo intravedere due piedoni sproporzionati per la piccola statura dello gnometto.
"Ma cosa...?"disse Rachele stupita. Lo gnometto, vergognandosi, finalmente rispose:"Ho i piedi come i tuoi, ma sono alto quanto uno scoiattolo. Non ho delle scarpe adatte ed ho preso in prestito le tue. Scusami".
Rachele capì il disagio dell'omino e dolcemente gli disse:"Non preoccuparti. Ora però puoi spiegarmi l'origine di queste...ehmm...scialuppe?
L'omino, non senza difficoltà, spiegò che non si ricordava più dove aveva lasciato la scopa magica della strega Lucilla e questa, indispettita, aveva deciso di fargli crescere i piedoni con l'intento di farlo camminare scalzo. L'incantesimo avrebbe avuto fine solo dopo il ritrovamento della scopa. Rachele si impietosì e decise di aiutare il buffo omino, non solo per riavere le sue scarpe, ma per solidarietà nei suoi confronti. Era una bambina generosa, sempre pronta ad aiutare i più deboli. L'unico problema era quello che non aveva la minima idea di dove fosse la scopa magica. Rachele parlò a lungo con lo gnometto e si fece spiegare, in modo dettagliato, tutti i suoi movimenti precedenti , così da fare a ritroso il percorso che forse avrebbe fatto ritrovare la scopa.
Con lo gnometto rifece tutta la strada, dalla spiaggia al boschetto, fino alla grossa quercia. Niente!
L'omino era in piena crisi, andava avanti ed indietro in modo buffo, dondolandosi sui piedoni. Spesso inciampava. Cercava con tutte le sue forze di ricordarsi dove avesse appoggiato la scopa magica finchè, ad un certo punto, scoppiò a ridere...Rachele lo guardò perplessa ...Era forse impazzito? L'omino continuava a ridere steso sull'erba: si teneva la pancia e scalciava in aria con i piedoni. Quando finì disse:"La scopa l'ho lasciata nella legnaia perchè volevo spazzare il pavimento prima di sistemare gli altri pezzetti di legno. I miei amici mi hanno chiamato ed io mi sono completamente scordato della scopa. Il percorso a ritroso mi ha veramente aiutato. D'ora in poi lo farò sempre quando la memoria mi tradirà. Ora chiamiamo la strega. Lei ci sente benissimo anche quando non è nei paraggi.
Chiamarono, chiamarono...fino a sgolarsi. Finalmente la strega Lucilla arrivò trasportata da un nero uccellaccio. Quest'ultimo, senza tanti complimenti, la scaraventò per terra. La strega lo chiamò bestiaccia e lo guardò con rabbia. Da quando quell'uccellaccio le dava dei passaggi il suo fondoschiena era sempre dolorante e pieno di lividi...
Senza un minimo di grazia si riprese la scopa e bofonchiando strane formule, liberò lo gnometto dall'incantesimo. Gli regalò anche un paio di scarpine... vecchie chiaramente! Finalmente salì sulla scopa e sparì dall'orizzonte.
Rachele, soddisfatta, saluto lo gnometto con un sonoro bacio sulla guancia minuta, si infilò le sue scarpe e ritornò a casa.
Che strana giornata! Da non dimenticare.
Adima Gabriela

giovedì 6 marzo 2008

IL GIORNO FATALE

Il maiale, la mucca e l'asino, nascosti dietro il muretto, erano preoccupati che qualcuno potesse scovarli. Il galletto nero fungeva da guardiano, pronto a segnalare se la padrona della fattoria si aggirava nei paraggi.
Il giorno fatale era infatti arrivato e le povere bestie volevano evitare la solita tortura annuale inflitta loro dalla padrona. Erano stanche delle prepotenze della donna e mai e poi mai avrebbero passivamente accettato i suoi soprusi. Vedevano in lontananza il fumo uscire dal comignolo....l'acqua sicuramente stava bollendo ...Avevano fatto bene a scappare dalla fattoria!
Le bestie, tra loro vicine vicine, si guardarono negli occhi in cerca di conforto. Ad un certo punto l'asino, rivolto al porcello, esclamò:"Certo che puzzi veramente tanto..mi stai asfissiando!"Il porcello risentito , invece di pensare al suo olezzo gli rispose:"Anche la mucca puzza! E pure tu!" La mucca, notoriamente calma, si infuriò ed indispettita girò il muso imbronciato.Le bestie continuarono a litigare, ognuna rimarcando il cattivo odore dell'altra, con un tale fracasso che alla fine la padrona della fattoria le trovò. A furia di schiamazzare non avevano sentito il galletto che tentava di avvisarle della presenza della donna.
Quest'ultima brandiva qualcosa in mano e gli animali capirono che per loro era la fine. Si appiattirono contro il muretto, scordandosi dei loro rispettivi e caratteristici olezzi.
La padrona si avvicinò e dopo averli guardati chiese in modo perentorio:"Chi è il primo?" La mucca e l'asino indicarono tremanti il maiale che a sua volta, con una occhiata velenosa, fece loro capire che erano dei traditori. Lemme lemme seguì la padrona, sembrava un vecchietto tanto strascicava le sue grasse zampone...la mucca e l'asino si sentirono in colpa, ma superarono in un battibaleno tale sensazione pensando che tanto anche a loro sarebbe spettata la stessa identica sorte.
Il maiale arrivò alla fattoria: l'aspettava l'acqua bollente e non solo...La padrona prese un grosso mastello, vi mise dentro l'acqua bollente e senza tanti complimenti infilò dentro il maiale. La bestiola si sentì morire...la padrona con una spazzola la insaponava energicamente e le bolle di sapone volavano come tante farfalle trasparenti...la tortura era iniziata. Il bagno durò un bel pò e quando il maiale uscì dal mastello profumava di un disgustoso odore di violetta ed era rosa come un confetto. Sarebbe diventato lo zimbello della porcilaia.
Arrivarono poi la mucca e l'asino che vennero strigliati , insaponati e profumati a dovere. La tortura era finita!
Tutti e tre si ritrovarono sconvolti dietro il solito muretto dove iniziarono subito a litigare perchè l'asino sapeva di mughetto, la mucca di lavanda e così via...
Avevano davanti un altro anno prima di finire nuovamente dentro il mastello pieno di acqua bollente e profumata. Una cosa avevano però finalmente compreso: sporchi o puliti non erano mai contenti.
Adima Gabriela

lunedì 11 febbraio 2008

LEA e GERALDINA

Geraldina si svegliò presto, come ogni mattina, per andare a scuola. Dopo essersi stiracchiata si alzò e si preparò mettendosi il solito vestitino rosso. Fece colazione, salutò con un bacio affettuoso la sua mamma e si avviò lungo il sentiero alberato che congiungeva, con un breve tragitto, il villaggio alla scuola.
La mamma la seguì con lo sguardo, fino a quando la rossa figuretta non svanì dalla sua vista. Geraldina camminava spedita, ogni tanto saltellava e prendeva a calci i sassolini. Vicino ad un cespuglio sentì però dei rumori, come se qualcosa si muovesse in mezzo alle foglie.
Incuriosita si avvicinò e vide una piccola cornacchia che sbattendo le ali cercava di districarsi dai cespugli contorti. Delicatamente la prese e la posò sul sentiero. Dopo essersi accertata che l'animaletto non si fosse fatto male si allontanò. Improvvisamente una voce gracchiante le disse:"Grazie! Per favore però non lasciarmi qui!" Geraldina si girò perplessa e vide la cornacchia che la seguiva e parlava proprio con lei. "Sei tu che parli?" disse la bambina. "Certo! Chi vuoi che sia?" rispose la cornacchia. Geraldina perplessa la guardò senza profferire parola e la cornacchia seccata continuò:"Senti, smettila di fissarmi. Tutti gli animali parlano, ma solo alcuni umani possono capirli. Tu mi capisci! Che c'è di strano? Ora per favore portami con te. Mi sono smarrita, sono sola ed ho bisogno di amici."
Geraldina, un pò titubante, la sollevò e la mise dentro la borsa piena di libri dicendole:"Senti, io vado a scuola. Tu resta tranquilla dentro la borsa così la mia maestra non ti manderà via. In questo modo potrò sempre portarti con me." "Evviva!" rispose la cornacchia. Dopo qualche minuto di silenzio disse :"Mi chiamo Lea e tu?" La bambina rispose :"Geraldina."
Insieme arrivarono a scuola. Geraldina si sedette nel suo solito posto e Lea rimase dentro la borsa semiaperta. La bambina quel giorno seguì la lezione con maggior attenzione del solito perchè non voleva essere rimproverata dalla maestra e fare una figuraccia con Lea. Era infatti sua abitudine distrarsi durante le lezioni e mettersi a sognare ad occhi aperti.
Passarono i giorni e le settimane, Lea aveva imparato a leggere ed a scrivere con il becco e Geraldina era diventata una alunna curiosa e studiosa. Facevano insieme i compiti. Lea era brava in matematica ed aveva insegnato a Geraldina a risolvere velocemente i problemi con l'aiuto dei pinoli e dei bastoncini di legno. Geraldina leggeva invece le poesie così bene che spesso Lea si commuoveva ed i suoi occhietti vivaci si riempivano di lacrime.
La strana coppia si divertiva insieme agli altri bambini ad inventare nuovi giochi e le giornate trascorrevano veloci e serene.
Un giorno Geraldina non trovò Lea. Dovevano recarsi insieme a scuola, ma di Lea nessuna traccia. Dove era finita quella benedetta cornacchia? Lo sapeva che dovevano uscire insieme... Preoccupata si avviò lungo il sentiero, ma di Lea nessuna traccia...
Si senti chiamare:"Geraldina! Geraldinaaa!"
Era Lea! La bambina si voltò felice e vide la sua piccola amica insieme ad altre due cornacchie.
"Geraldina, ti presento i miei genitori. Finalmente mi hanno ritrovata!"
Geraldina salutò educatamente ma in cuor suo si sentì morire. Lea sarebbe andata via con i suoi genitori e lei avrebbe perso la sua piccola amica. Che tristezza! Subito pensò che non era giusto... poi si sentì un pò egoista per averlo pensato... dopo rimase solo frastornata.
"Geraldina, Geraldina, si può sapere cosa hai?" chiese Lea, che aveva percepito la tristezza della bambina. Geraldina non rispose ma sospirò in modo eloquente. Allora Lea le chiese :"Possiamo restare con te? Anche tu fai parte della mia famiglia. Costruiremo il nido accanto alla tua casa ed io e te continueremo ad andare a scuola. Gli amici sono importanti e tu per me lo sei davvero!"
La famiglia di cornacchie restò per sempre con Geraldina.
Adima Gabriela

martedì 1 gennaio 2008

LA BEFANA VIEN DI NOTTE...

La Befana era molto affaccendata. Correva da una parte all'altra, preparava pacchi e pacchetti, nastri e decorazioni. Lei non aveva gli gnomi come babbo Natale, ma una vecchia fantesca che non riusciva più a trascinare le gambe tanto era stanca di correrle dietro. Ma il gran giorno si avvicinava e tutto doveva essere perfetto: regali pronti, scopa revisionata, carbone lucido...insomma una gran fatica. La Befana essendo vecchina aveva qualche difficoltà a guidare la scopa. Durante il tragitto incontrava di tutto: dagli uccelli agli aerei che doveva scansare con estrema maestria. Rimpiangeva i tempi in cui tali modernità non esistevano, al massimo doveva evitare le aquile e qualche freccia. Ma torniamo ai preparativi. La Befana aveva lavato e stirato i suoi vestiti, i soliti da mille e mille anni, qualche rattoppo e voilà potevano ancora andare...Le scarpe invece no! La befana rimuginava una vecchia filastrocca e tra sè diceva:"Se becco chi ha sparso la voce che vado in giro con le scarpe rotte..!" Lei alle scarpe ci teneva tantissimo, ne aveva centinaia di tutti i colori ed ogni anno le cambiava per intonarle a qualche nuovo rattoppo del suo vestito. Una piccola civetteria alla quale non riusciva a rinunciare da mille e mille anni.
Mezzanotte del cinque gennaio: tutto era pronto, compreso l'elenco dei bimbi buoni, buonini, un pò cattivi e cattivissimi. Il carbone avrebbe fatto riflettere questi ultimi e magari il prossimo anno avrebbero ricevuto un bel regalo.
La Befana con un balzo da cavallerizza salì sulla sua scopa che partì come un razzo intorno al mondo dei bimbi. Ogni bimbo aveva appeso una lunga calza ai bordi del letto o sotto il camino aspettando con ansia la magica vecchina. Tutte le marachelle venivano ricordate nella speranza che la Befana, essendo vecchia, se le fosse invece scordate ...vana illusione ...che sonno...
Buona Epifania a tutti i bimbi!
Adima Gabriela

sabato 15 dicembre 2007

BUON NATALE

L'abete viveva da tanti anni nel boschetto di fronte alla bellissima casa. Conosceva bene tutti i suoi abitanti, soprattutto il pestifero e capriccioso bambino che, con le sue urla, faceva sobbalzare tutti gli animaletti del bosco.
Adesso che si avvicinava il Natale il bimbo era ancora più capriccioso e pretendeva dai suoi genitori, che purtroppo l'assecondavano continuamente, regali strani e costosi, a volte introvabili. Babbo Natale, ormai da qualche anno, si rifiutava di portarglieli, stanco delle sue continue pretese.
Orbene, l'abete assisteva continuamente a tali scene, ma mai e poi mai avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto in seguito.
Una fredda ma luminosa mattina , il bimbo, insieme al padre, si avvicinò all'abete e disse:"Voglio questo! Sarà un bellissimo albero di Natale!"
L'abete si sentì accapponare la pelle (si fa per dire!) e pensò che per lui era finita! Poi ebbe un rigurgito d'orgoglio e pensò:"Venderò cara la pelle! Non finirò in una stanza senza radici. Che fine faranno gli uccellini e gli scoiattoli?"
Quando il bambino si allontanò con il padre l'abete chiamò a raccolta tutti i suoi piccoli inquilini deciso a non arrendersi .
L'indomani il padre del bimbo, accompagnato da quest'ultimo, arrivò con una sega per tagliare l'abete. Appena si accostò partì una gragnuola di pigne ed una colpì il bambino che disse:"Ahi! mi fai male!" L'abete a sua volta rispose:"Anche tu! Immagina un pò quanto me ne farai quando mi farai tagliare tutte le radici!"
Insomma, il padre, per evitare la gragnuola di pigne non riuscì a tagliare l'albero. Così anche il giorno dopo e l'altro ancora. Lui ed il bimbo venivano continuamente centrati, l'abete opponeva una strenua resistenza, aiutato anche dagli animaletti del bosco, alla violenza che il bambino capriccioso voleva infliggergli. Ma le pigne finirono ed arrivò praticamente il suo ultimo giorno. Gli animaletti disperati si arresero e l'abete pure. Si sentiva stanco, ormai il suo destino era segnato.
La vigilia di Natale il bimbo arrivò con il padre. Stranamente non saltellava, sembrava un pò mogio e quando il padre appoggiò la sega sul tronco dell'albero scoppiò in lacrime e gridò di non tagliare più l'abete. Sempre piangendo abbracciò il tronco e spiegò che lui desiderava vedere l'abete ogni mattina, sentire il canto degli uccellini ed osservare gli scoiattoli rincorrersi.
Il padre capì di aver sbagliato ad assecondare i capricci del figlio e pensò che d'ora in poi avrebbe parlato con lui più spesso invece di pensare solo al suo lavoro.
E l'abete? Rimase nel suo boschetto e per Natale fu decorato con fili argentati e palline colorate mentre gli animaletti felici si rincorrevano giocando a nascondino.
BUON NATALE!
Adima Gabriela

mercoledì 5 dicembre 2007

IL TEMPO TRASCORSO


Le due ragazze camminavano sulla spiaggia calda e soleggiata. L'acqua del mare lambiva i loro piedi e le loro gambe: era fresca e piacevole. Le ragazze portavano in perfetto equilibrio sul loro capo i cesti colmi d frutta colorata. Volevano offrirli al vecchio abitante dell'isola che viveva in una capanna oltre le verdi colline. L'uomo viveva isolato per sua scelta, era molto vecchio e rugoso, nessuno sapeva quanti anni avesse. Era però saggio e semplice e non disdegnava le offerte di cibo e bevande. Dopo un bel pò di tempo arrivarono vicino alle colline e si resero conto che nell'aria c'era qualcosa di strano come se tutto si fosse fermato: nessuna foglia si muoveva e nessun uccellino cinguettava. Le due ragazze si resero conto che anche i loro movimenti diventavano sempre più lenti e faticosi...ma cosa stava accadendo? Si guardarono stupite ed un pò preoccupate e quasi senza rendersene conto si trovarono di fronte alla capanna. Seppur incuriosite non sapevano cosa fare... Pian piano, cigolando, si aprì una porticina dalla quale uscì un vecchio rugoso come una tartaruga e malfermo sulle gambe : i suoi occhi erano luminosi come stelle e la sua bocca sorrideva.
"Chi sei?" chiesero le due ragazze. "Sono il tempo trascorso"rispose il vecchio e tirò fuori da sotto il suo ampio abito uno specchio. "Guardatevi!" disse rivolto alle fanciulle.
Lo specchio rifletteva però l'immagine di due donne vecchie...ma dove era finita la loro gioventù?
Una delle fanciulle riconobbe nella immagine riflessa se stessa e perplessa guardò il vecchio. Lui fece finta di niente ma ella sempre più preoccupata pensò che la sua vita si era praticamente conclusa. Pensò ai suoi genitori, agli amici ...quante cose non dette e non fatte! Quanto tempo sprecato nella ricerca delle cose inutili...doveva tornare indietro e spiegare a tutte le persone care che per lei loro erano sempre stati importanti. Anche l'altra ragazza pensò le stesse cose e guardò il vecchio facendo trapelare tutta la sua angoscia. Pensò che la sua unica preoccupazione era sempre stata quella di essere la più bella del villaggio, non aveva mai rivolto un sorriso o una parola gentile alle altre ragazze...ed ora era solo una donna vecchia, rugosa e sola.
Dopo un lasso di tempo, che parve alle due fanciulle interminabile, il vecchio dagli occhi splendenti disse:"Non preoccupatevi, avete solo superato il confine del tempo ma entro breve ritornerete come prima. Ora siete due ragazze spensierate ma da grandi potreste perdere la vostra serenità se darete importanza solo alle cose futili. Date un senso alla vostra vita, preoccupatevi di essere oneste e leali altrimenti arriverete alla vecchiaia stanche e tristi senza il conforto delle persone care.
Dopo si avvicinò ad ambedue , le guardò intensamente e scomparve.
Le due fanciulle tornarono lentamente indietro e man mano acquistarono la loro energia e gioventù. Si sentivano profondamente cambiate. Adesso esistevano anche gli altri .
Adima Gabriela

venerdì 26 ottobre 2007

LA FAME FA' IL SERPENTE LADRO

Il serpente si svegliò, sbadigliando a più non posso e stiracchiando le sue spire dopo il lungo letargo. Era arrivata la primavera con i suoi colori, profumi di fiori e non solo...La primavera significava anche poter mangiare finalmente. Il serpente sentì il suo piccolo stomaco brontolare, aveva una fame...Dopo aver controllato un attimo il suo aspetto, dal momento che intendeva cercare anche una serpentella con la quale mettere su famiglia, uscì dalla sua tana, respirando a pieni polmoni. Dopo soli due minuti rimase di stucco! Ricordava infatti che, prima del suo letargo, vicino al palazzo reale, c'era un bellissimo prato verde dove praticamente era difficile incontrare anima viva. In compenso si poteva procacciare tanto di quel cibo da diventare obesi. Adesso il prato era pieno di mercanzie e di tante donne che, accovacciate, attendevano che qualche signorotto uscisse dal palazzo reale per acquistare le loro merci. Il serpente pensò che in compenso lui sarebbe rimasto con la pancia vuota: quale preda sarebbe rimasta tranquilla ad aspettare le sue fauci con tutta quella gente? Il pensiero di restare digiuno gli fece aumentare la fame ed aguzzare l'ingegno. Iniziò a pensare come fare per superare il prato: piano piano scivolò sull'erba ma si impigliò nella gonna di una delle venditrici. Restò con il fiato sospeso e la reazione della donna non si fece attendere: si sfilò la pantofolina e gli diede un colpaccio sulla testa! Il serpente, un pò stordito, pensò che anche lui aveva avuto paura nel vedere la donna, ma non per questo l'aveva picchiata! Non si perse però d'animo. Aveva infatti adocchiato i cesti pieni di frutta e poichè il suo stomaco reclamava il cibo pensò di rubarlo. Mentre stava per infilarsi dentro un cesto colorato sentì una risatina sommessa. Si voltò incuriosito e vide una graziosa serpentella che lo guardava divertita. Si avvicinò cautamente per evitare un'altro colpo di pantofola e chiese alla serpentella il motivo di tanta ilarità. Si sentiva un pò offeso, affamato ed aggressivo!
La serpentella gli spiegò che non era normale che lui rubasse visto che il cibo non scarseggiava.
Lui sempre più indispettito le rispose che in quel prato dove era nato si erano insediati i mercanti e quindi non poteva più procacciarsi il cibo perchè l'avrebbero tramortito a colpi di pantofola. Allora la serpentella capì che aveva a che fare con un serpente pigro, abitudinario e poco intraprendente! Non aveva capito che il mondo non finiva in quello spiazzo? Preferiva rubare, piuttosto che cambiare le sue abitudini!
Gentilmente chiese al serpente di seguirla. Lui, che aveva notato la bellezza della serpentella, non se lo fece ripetere due volte. Strisciarono e strisciarono, quatti quatti, la serpentella era molto sicura di sè e di tanto in tanto lo osservava di sottecchi. Anche lei pensava che era un gran bel serpente.
Arrivarono dalla parte opposta del palazzo reale, uno spiazzo erboso enorme, pieno di piccole prede e tanta frutta! Il serpente mangiò così tanto da non riuscire a strisciare per un bel pò. Quando ebbe digerito tutto ( ci volle un pò di tempo) iniziò a vergognarsi della sua scarsa intraprendenza. Dopo il letargo aveva preferito scegliere la via più facile invece che cercare altre soluzioni. Parlò a lungo con la serpentella e lei gli disse semplicemente che poteva stabilirsi in quello spiazzo dove esistevano tante tane vuote.Il serpente accettò e dopo alcuni giorni mise su famiglia con la tenera serpentella che gli aveva insegnato, nella difficoltà, a ricercare nuovi orizzonti.
Adima Gabriela

giovedì 11 ottobre 2007

LIBERI COME FARFALLE


In un lontano villaggio vivevano delle farfalle così colorate da confondersi con i fiori. Le farfalle volavano continuamente formando strane figure e gli abitanti del villaggio erano felici della loro presenza.
Nel nero e tetro castello, arroccato sulle montagne, svolazzavano dei neri uccellacci. Il castello era abitato da malvagi calabroni che trascorrevano il loro tempo spaventando le farfalle. I loro sciami le inseguivano continuamente costringendo le poverette a nascondersi senza potersi difendere. Le farfalle non riuscivano ad opporsi a tali cattiverie perchè i calabroni erano più forti e numerosi rispetto a loro.
Un giorno, durante uno dei soliti inseguimenti, in cui il colore delle farfalle si mescolava in una scomposta girandola con il nero dei calabroni, le farfalle videro immersa nel bosco una casetta con il tetto rosso. Entrarono dentro una finestrella e rimasero nascoste in una piccola stanza finchè i calabroni, non vedendole più, rientrarono indispettiti nel tetro castello. Mentre le farfalle volavano dentro la stanzetta entrò una bella fanciulla dai capelli neri e vestita di rosso. Quando le vide si mise a ridere felice. A lei le farfalle piacevano tantissimo perchè con i loro meravigliosi colori le sembravano dei fiori volanti. Chiese come mai si trovassero nella sua stanza. Una farfalla, ancora spaventata e tremante, spiegò che i malvagi calabroni ormai da lungo tempo non le facevano vivere in pace. La fanciulla, dispiaciuta, disse che avrebbero trovato insieme una soluzione e le rimproverò per non aver chiesto prima l'aiuto degli abitanti del villaggio.
Durante la notte ospitò le farfalle nella sua casetta e pensò continuamente come poter rendere innocui i calabroni nonostante la loro cattiveria. A furia di rimuginare le venne un'idea...
Chiamò tutte le farfalle a raccolta e chiese ad alcune di andare dai bachi da seta per farsi prestare dei fili lunghi e trasparenti. Le farfalle eseguirono l'ordine. I bachi inizialmente si dimostrarono un pò taccagni ma alla fine, dopo le dovute spiegazioni, decisero di aiutare le farfalle regalando addirittura dei fili di seta.
Quando la fanciulla ebbe i fili di seta andò nel bosco per cercare degli aghi di pino sottili ma resistenti. Dopo, aiutata dalle farfalline, iniziò a preparare una rete . Ci vollero tanti giorni di duro lavoro, ma alla fine fecero insieme una grandissima rete trasparente.
Come un perfetto generale la ragazza preparò insieme alle farfalle una controffensiva contro i calabroni!
All'alba del giorno successivo la giovane si mise a capo della spedizione: tutte le farfalle, come tanti piccoli soldatini, volavano ordinatamente dietro di lei, tenendo ognuna, con le zampine, una parte della grande rete. Non avevano paura, perchè si sentivano unite e forti: la presenza della fanciulla le aveva rese sicure. Volevano liberarsi, una volta per tutte, della cattiveria dei calabroni che avevano pavidamente subito.
Arrivarono vicino al tetro castello. La fanciulla disse alle farfalle di nascondersi dietro un cespuglio chiedendo però ad un piccolo gruppo di distrarre gli uccellacci neri che svolazzavano sopra il castello.
Il piccolo gruppo, nonostante il timore di essere mangiato da tali bestiacce, riuscì a svolgere con successo tale compito.
L'altro gruppo di farfalle si alzò invece in volo deponendo la rete sopra il castello dove i calabroni si trovarono improvvisamente prigionieri. Essi, spaventati, tentarono inutilmente di uscire. Provarono e riprovarono ma fu tutto inutile. Si resero allora conto che a causa della loro cattiveria avevano perso la libertà..
Dopo tanti giorni le farfalle, insieme alla fanciulla, chiesero ai calabroni se preferivano vivere liberi e pacifici, oppure restare prigionieri per sempre . I calabroni, capita la lezione, decisero di vivere liberi e pacifici. Da allora nessuno si lamentò più di loro.
Adima Gabriela

martedì 25 settembre 2007

CHIACCHIERE...CHE PASSIONE!


La bianca casetta era immersa nel verde bosco. Da anni gli abitanti del villaggio ne conoscevano l'esistenza ma nessuno aveva mai compreso chi l'abitasse. D'inverno il comignolo fumava ma degli inquilini nemmeno l'ombra. Così gli abitanti del villaggio avevano iniziato a fantasticare e le chiacchiere si sprecavano. Le vecchie comari non avevano più freni: parlavano tra loro di fantasmi, di mostri ...e più parlavano più si convincevano della loro esistenza!
Alla fine tutti gli abitanti quando passavano nel bosco e vedevano in lontananza la casetta acceleravano il passo provando dei piccoli brividi di terrore. I bambini, intimoriti dalle continue raccomandazioni dei grandi, non giocavano più nel boschetto, privandosi della bellezza di quel luogo.
Un giorno due ragazzi, stanchi delle continue chiacchiere degli adulti, decisero di andare a giocare proprio nel boschetto: la giornata era soleggiata e luminosa ed in lontananza si vedeva la casetta bianca...Si misero a giocare con il pallone sentendosi felici e finalmente liberi di muoversi. Ma i palloni si sa volano lontano se colpiti con forza... e così i ragazzi si ritrovarono senza volerlo accanto alla mitica casetta bianca!
Si guardarono intorno un pò timorosi temendo di essere assaliti improvvisamente da chissà quale mostruosa creatura...ma nulla accadde!
Girarono pian piano intorno alla casetta, notarono che aveva le finestre semichiuse e che dall'interno proveniva un buon odorino di dolci...
"Salve ragazzi! Finalmente vedo qualcuno!" I due ragazzi spaventati fecero un salto...si girarono al suono della voce ma non videro nessuno.
"Sono qui, guardate giù, in mezzo all'erba!"
I due ragazzi abbassarono il capo e videro un omino piccino, un nanetto grazioso con un buffo capellino nero immerso nell'erba del prato. Anche l'omino li guardava incuriosito e sembrava quasi felice di vederli. Non aveva i dentoni di un mostro, non sembrava un fantasma ....era solo basso di statura. I ragazzi gli chiesero chi fosse e da quanto tempo abitasse nella casetta bianca. L'omino non si fece pregare e parlò ininterrottamente per ore. Spiegò che la sua famiglia viveva in quella casa da molte generazioni ma essendo dei nanetti nessuno riusciva a vederli. Spesso l'erba del bosco era più alta di loro. Dopo li fece entrare nella casetta dove la piccola moglie stava sfornando una torta profumata circondata da due piccoli bimbi.
I ragazzi trascorsero una giornata allegra, risero, scherzarono e mangiarono. Quando si accomiatarono il piccolo omino disse ridendo:"La prossima volta quando verrete a trovarmi sarete sicuramente più tranquilli. Dite agli abitanti del villaggio che nessun mostro vi ha divorato"!.
I due ragazzi fecero ritorno al villaggio con la consapevolezza che le chiacchiere sono come le ciliegie : una tira l'altra, solo che le chiacchiere diventano sempre più grandi, le ciliegie purtroppo no! Raccontarono l'accaduto ai loro genitori e fecero capire agli abitanti del villaggio che i mostri esistevano solamente nella loro lingua lunga. Gli abitanti capirono la lezione, ripresero a frequentare il bosco e col tempo diventarono amici dei nanetti.
Adima Gabriela

giovedì 6 settembre 2007

LA PAURA FA NOVANTA


L'Elefante sognava continuamente di ballare al suono di chitarre, tamburi e trombe...sognava...e basta!
La sua mente era sempre in fermento ma in realtà era così pigro e grasso da non riuscire più a muoversi! Più erano sgraziati i suoi movimenti e più lui sognava ad occhi aperti di danzare, lieve come una libellula, con i suoi ritmi musicali preferiti: rock and roll, flamenco, tango ...e chi più ne ha più ne metta!
Un giorno il Coccodrillo, stufo di vederlo con gli occhi sempre imbambolati gli disse:"Smetti di sognare ad occhi aperti e datti da fare! Lo sai che anche i grassi possono ballare se si esercitano?Perchè non fai un pò di ginnastica visto che più che un elefante sembri una montagna di lardo?"
L'Elefante, un pò giù di corda, non rispose, pensando che il Coccodrillo aveva la capacità di rendere tutto troppo facile. Sbuffando a più non posso pensò che il suo sogno non si sarebbe mai avverato....e per consolarsi si mangiò mezza giungla!
Il Coccodrillo, sempre più stufo, chiamò sommessamente il brutto, peloso e puzzolente Topo Nero e si mise a confabulare con lui, ma solo dopo avergli promesso che non l'avrebbe divorato!
L'Elefante aveva infatti paura del Topo Nero e per tale motivo il Coccodrillo pensava che l'unico sistema per farlo dimagrire e fargli realizzare il suo sogno era quello di farlo correre! A volte la paura fa novanta!
Il Topo Nero, a sua volta, si sentiva molto importante per aver ricevuto tale incarico oltre a divertirsi al pensiero di "allenare" l'Elefante . Inoltre il Coccodrillo gli aveva assicurato che non avrebbe più cercato di mangiarlo!
Il giorno successivo, mentre l'Elefante era immerso nei suoi soliti pensieri ballerini, il Topo si avvicinò a lui sfacciatamente, restando in attesa di una sua reazione...che, come immaginato, non si fece attendere! Il bestione, trasecolato, con un balzo (si fa per dire), iniziò ad indietreggiare e mentre il Topo avanzava non ebbe altra scelta che quella di mettersi a correre pur di non vedere quella bestiaccia pelosa.
Ma il Topo gli stette dietro tenacemente. L'Elefante correva scompostamente facendo rimbombare la giungla, ma il Topo non demordeva. Quando l'Elefante, dopo aver corso per ore, si fermò, era così sfinito che mangiò come un uccellino e dormì come un ghiro.
La stessa scena si ripetè il giorno dopo e proseguì così per un bel pò di tempo. L'Elefante oltre che stremato era infuriato, desiderava schiacciare quel topaccio con la sua zampa, ma la paura lo faceva desistere...finchè si rese conto che, proprio grazie alla nera bestiaccia, aveva perso un numero considerevole di chili. Tutto sommato il Topo Nero gli aveva reso un gran bel servizio!
Forse ora poteva danzare, si sentiva bello e pieno di energia! Mentre passeggiava nella giungla vide due uccelli colorati che fischiettavano e danzavano uno scatenato rock and roll. Si muovevano in perfetta sintonia ed erano così immersi nella danza da non accorgersi della sua presenza.
L'Elefante li guardò incantato ed improvvisamente, scordandosi della sua mole, seguì il ritmo della melodia. Le sue zampe si mossero ed insieme alle zampe tutto il suo corpo. Si sentiva lieve e felice! Aveva realizzato il suo sogno e non aveva più nessuna intenzione di rinunciarvi.
Il Topo Nero, sparito definitivamente dalla vita dell'elefante, dopo essersi montato la testa, decise di allenare una squadra di topacci neri per le prossime olimpiadi della giungla.
Adima Gabriela




L'UCCELLINO BILL


L'autrice di questa delicata storia è Veronica Serrano, una giovanissima amica che da grande vuole fare la scrittrice. Si ringrazia Veronica per il suo contributo.


Tanto tempo fa, in una regione lontana, nacque un piccolo uccellino che mamma tordo chiamò Bill; era un piccolo pulcino senza piume, con tanta voglia di esplorare il mondo, così un giorno si spinse fuori dal nido, per vedere cosa c'era al di là della sua casetta.
Sporgendosi troppo cadde dall'albero su cui i suoi genitori avevano costruito il nido e si trovò in una immensa distesa d'erba. Il paesaggio gli piaceva:c'erano tantissimi fiori colorati che profumavano e ruscelli con acqua pulitissima che sgorgava da sorgenti nelle rocce.
Ma l'uccellino nonostante il bel paesaggio si sentiva completamente solo: gli mancavano la mamma ed il papà! Una rondine di passaggio vide piangere il piccolo Bill e quindi gli chiese:"Cosa c'è?" L'uccellino rispose:"Sono da solo, non so dove andare e non posso più tornare a casa!"
La rondine, che ebbe compassione di quell'esserino, decise di aiutarlo: lo caricò sulle sue spalle e cominciò a levarsi in volo, dopo poco.."Ecco il mio nido, la mia mamma...e il mio papà!!"
La rondine lasciò Bill dove lui le aveva indicato e se ne andò ringraziata da tutta la famiglia. Da quel giorno l'uccellino Bill non si sporse più dal suo nido se non dopo essere cresciuto ed aver imparato a volare.
Veronica




martedì 7 agosto 2007

IL COVO DEI BRUCHI PELOSI


I verdi bruchi pelosi vivevano in un boschetto luminoso e nascosto tra le montagne. Erano numerosi e messi tutti in fila formavano un folto tappeto. Nessuno poteva calpestarli perchè gli umani non conoscevano il loro covo. Le femmine dei bruchi erano civettuole e molto orgogliose del loro pelo: lo acconciavano con i fiorellini, lo ondulavano e arricciavano con dei rametti sottili e quelle più audaci lo tingevano con il succo dei mirtilli. Pertanto, essendo verdi, si distinguevano lontano un miglio. I maschi non avevano problemi di questo genere ma erano ugualmente orgogliosi del loro pelo folto e ispido.
Ma un nemico tramava nell'ombra: un bruco calvo e invidioso. Tale bruco, che viveva nelle vicinanze del boschetto, era purtroppo nato liscio come l'olio e questo lo rendeva insicuro e infelice. Per di più si era innamorato di una bruchina pelosa e sentendosi brutto e diverso, non sapeva come fare per dichiararle il suo amore. Insomma, proprio una brutta situazione che pensò di risolvere rubando un pò di pelo ai bruchi .
Ogni notte, pian piano, si accostava ai bruchi addormentati e con un sassolino acuminato tagliava il loro pelo ; dopo averlo racimolato, lo faceva tessere da un ragno, per ricavarne una piccola pelliccia che avrebbe poi fatto aderire al suo corpicino. Tutto filò liscio per molte notti, fino a quando alcuni bruchi pelosi incominciarono a rendersi conto che il loro pelo era notevolmente diminuito.
Preoccupati pensarono di avere una strana malattia, ma il bruco stregone li tranquillizzò. Alla fine , dopo averci pensato e ripensato, essi capirono che era stato un ladro a tagliare e rubare il loro pelo. Così iniziarono ad appostarsi ogni notte nella speranza di acchiapparlo. Ma nulla accadde.
Un giorno si presentò nel loro covo uno strano bruco: aveva una pelliccia foltissima, esagerata, mai vista da nessuna parte! Ad un certo punto la pelliccia, per un brusco movimento, si spostò, cadendo quasi per terra e facendo intravedere un corpicino liscio. I bruchi compresero che era lui il ladro ma visto che il loro pelo era ricresciuto, molto più bello di prima, non lo rimproverarono, anzi gli regalarono del miele selvatico per incollarsi la pelliccetta che, in fin dei conti, apparteneva un pò anche a loro.
Il bruco impellicciato, accolto per sempre nel loro covo, riuscì finalmente a realizzare il suo sogno d'amore . E visse per sempre con la sua amata, felice ...e peloso!
Adima Gabriela

domenica 8 luglio 2007

GIOCATTOLI DIMENTICATI

Richard era un anziano uomo giapponese con una zazzera di capelli bianchi, lisci come spaghetti e le sopracciglia scure che mettevano in risalto i suoi occhi a mandorla.
Tutti lo conoscevano perchè girava per il paese con la sua vecchia ma solida bicicletta. Sfrecciava elegantemente, salutando tutti con un gran sorriso ed agitando la mano.
Richard, chiamato da tutti affettuosamente Dick, aveva girato il mondo e fatto interessanti esperienze. Egli aveva una grossa dote:trasformava gli oggetti inutilizzati in meravigliose opere d'arte. Tagliava, incollava, limava...a volte dava vita a strani oggetti, a volte utili, a volte inutili, ma sicuramente belli e rifiniti con cura e dedizione.
I bambini con lui erano sempre felici: i giocattoli rotti e buttati in angolini dimenticati, tra le sue mani rinascevano con nuove forme e diventavano più interessanti; i tappi di sughero, limati potevano essere usati come biglie, le foglie ed i rami secchi, trasformati in quadri esprimevano in modo autentico la natura...e che dire dei sassolini lavati e lucidati come tante piccole perle!!
Tutti i mercatini delle pulci, pieni di di cianfrusaglie e di stranezze, erano stati da lui visitati, nella continua ricerca di oggetti che potessero incastonarsi perfettamente con altri.
Dick diceva sempre:"Ogni oggetto è alla continua ricerca della sua metà e identità, solo così potrà essere felice".
Quando trovò uno strano ombrello doppio, con un unico manico, disse ridendo:"E' per gli innamorati"!
Un giorno così come era arrivato sparì! I bambini sentirono la sua mancanza e i giocattoli vecchi e rotti restarono dimenticati nei loro angolini. Durante una calda sera d'estate, i bambini del paese, sollevando gli occhi al cielo, videro, confusi tra le stelle, tanti strani oggetti ed una bicicletta che sfrecciava elegantemente tra le nuvole . Tutti insieme lo salutarono.
Ciao Dick.
Adima Gabriela

lunedì 11 giugno 2007

PRISCILLA E IL MOSTRO DEL FIUME

La castorina Priscilla arrivò, dopo un lungo viaggio, sulla sponda del fiume azzurro. Il posto era così bello che decise di fermarsi per mettere su casa. Mentre si accingeva a sistemare le sue cose, sentì un vocione che le diceva:"Cosa vuoi! Vattene via, questo posto è mio!"
Priscilla si voltò e vide un gigante blu, con un testone enorme pieno di ispidi peli. Per nulla intimorita gli rispose per le rime:"Questo posto e di tutti e ci resto finchè mi pare e piace!".
Il mostro, con l'intenzione di farla scappare via, lanciò un urlo spaventoso, ma la castorina, serafica, gli disse:"Temo che fra un pò avrai un gran male perchè i tuoi dentoni sono cariati". Il mostro, offeso, se ne andò via tutto impettito.
Per alcuni giorni Priscilla non lo vide più. Il mostro, che durante il giorno aveva l'abitudine di dormire, invece non riusciva più a chiudere occhio. Priscilla infatti cantava sempre a squarciagola e sguazzava chiassosamente nel fiume per trasportare i rami secchi.
Il mostro si rodeva di continuo pensando che Priscilla gli aveva rovinato la sua bella solitudine, era felice, ed in più non aveva alcuna paura di lui ! Gli altri animali, alla sua vista, tremavano e scappavano a zampe levate. Lei invece no! Egli si consolava fantasticando tremende vendette nei confronti di Priscilla, ma, in realtà, non voleva ammettere a se stesso che si stava abituando alla sua presenza.
Priscilla, nel frattempo, aveva preparato la sua comoda tana e sperava ardentemente di incontrare un bel castoro con cui mettere su famiglia. Di tanto in tanto dava una sbirciatina al mostro che, quando dormiva, russava come un mantice. Quella rumorosa presenza le dava tuttavia un senso di sicurezza e compagnia, finchè anche lei, pian piano si rese conto di essergli affezionata.
Una mattina raccolse delle fragole e le lasciò vicino al puzzolente giaciglio del mostro. Quando egli si svegliò, alla vista delle fragoline, si commosse ed una lacrima scivolò sul suo brutto viso. Priscilla, che si era appostata dietro un cespuglio per spiarlo , lo vide improvvisamente sciogliersi come neve al sole. Spaventata chiuse gli occhi. Quando li riaprì vide un castoro in mezzo ad una pozza di acqua blu. Titubante si avvicinò al castoro che, non appena la vide, le disse :"Una volta ero un castoro arrogante e superbo.Un mago, per punirmi, mi aveva trasformato in un mostro. Grazie a te, l'incantesimo si è spezzato, perchè, per la prima volta, ho saputo apprezzare un gesto di amicizia".
Priscilla ed il castoro si innamorarono e vissero per sempre felici e contenti lungo le sponde del fiume azzurro.
adima gabriela



mercoledì 30 maggio 2007

PIRATI, CIOCCOLATA e CHA CHA CHA




L'isoletta di Cacau era in fermento: uccelli che svolazzavano da una parte all'altra, animali che correvano nella giungla, uomini che conversavano animatamente tra di loro. Gli unici normali erano i bambini che, come al solito, giocavano rumorosamente e allegramente rincorrendosi sulla spiaggia. E allora perchè tutta questa frenesia? Il motivo c'era perchè sulla spiaggia si stava avvicinando il vascello del pirata Bruttomuso che, con il suo mozzo fantasma, approdava come al solito nell'isola, per depredarla dei semi di cacao.
Bruttomuso oltre ad essere veramente brutto era alto quanto un ratto messo in piedi. Allora perchè gli abitanti avevano paura di un simile soldo di cacio e di un fantasma caduto in disgrazia tanto tempo fa? Il problema era che il mozzo fantasma, cacciato via in malo modo dal regno degli stregoni , aveva inventato una polverina magica della quale si serviva regolarmente Bruttomuso per le sue razzie. Appena il vascello attraccava vicino alla spiaggia Bruttomuso imbracciava la sua spingarda e sparava la polverina magica: alcuni attimi dopo tutti gli abitanti, ma proprio tutti, compresi i lombrichi, venivano presi da una irrefrenabile voglia di ballare il cha cha cha; ballavano per ore e ore finchè stremati cadevano a terra e dormivano per giorni interi ed il pirata, aiutato dal fantasma, rubava indisturbato tutti semi di cacao dell'isola e spariva.
Bruttomuso infatti era così ghiotto di cioccolata che la usava perfino per farsi il bagno ed il cacao degli isolani era il migliore in assoluto, oltre ad essere famoso, per la sua bontà in tutte le altre isole del mondo.
Ma torniamo a Cacau. Non appena il vascello attraccò tutti gli isolani, impauriti e ormai rassegnati al ballo forzato, aspettarono nascosti fra le piante che la pestifera spingarda sparasse la polvere ballerina. Passarono alcune ore, poi ancora altre ed altre ancora ma nulla accadde. Come mai Bruttomuso non si vedeva? Gli uccelli, impauriti, si consultarono con il grande uccello Nero che a sua volta si incontrò sia con gli umani che con gli animali della giungla: tutti d'accordo, decisero di mandare, durante la notte, due serpenti dentro il vascello, per capire come mai Bruttomuso non si fosse ancora fatto vivo. Temevano infatti che il pirata stesse escogitando qualche brutto scherzo!
I serpenti, a notte fonda, strisciarono, quatti quatti, dentro il vascello ma non videro nessuno. Quando si erano ormai convinti che non ci fosse anima viva sentirono dei rumori provenienti dalla stiva, un tip-tap continuo e costante....
Si avvicinarono alla finestrella e videro Bruttomuso che ballava senza mai fermarsi mentre il mozzo fantasma rideva a crepapelle! Capirono che il pirata, per errore, si era sparato addosso la polvere ballerina rimanendo così vittima della sua stessa cattiveria! I serpenti, approfittando dell'insolita occasione, lo avvinghiarono mentre continuava a dimenarsi e lo portarono davanti a tutti gli abitanti di Cacau che , a quella scena, scoppiarono tutti a ridere. Il mozzo fantasma, che alla vista dei due serpenti era scappato di gran carriera, sparì per sempre portando con sè la magica polvere.
Bruttomuso rimase sull'isola di Cacau ed aiutò gli abitanti a coltivare i semi di cacao. Dopo tanto tempo si mise a preparare delle buonissime cioccolate e riuscì a diventare amico degli isolani.
Egli trasformò il vascello, ormai fermo sulla spiaggia, in una cioccolateria, ma mai e poi mai levò la bandiera pirata dove era disegnato il suo brutto grugno.
adima gabriela

sabato 26 maggio 2007

LA FATA SVAMPITA


La Regina delle fate era furibonda! Quel giorno un elfo, trattenendo a stento una risata, le aveva riferito che nel bosco giravano degli strani animali colorati: un pesce con le orecchie da coniglio ed i piedi ed un coniglio con il becco di un uccello ed il corpo di un orso.
Il pesce trascinava lentamente i suoi piedoni, calzati in un paio di scarpe, lamentandosi che gli facevano male perchè, vista la sua natura, non era abituato a camminare; il coniglio aveva serie difficoltà a rosicchiare le carote con il becco adunco ed inoltre, non riuscendo più a correre e saltare per la sua mole, stava diventando troppo grassottello!
La Regina delle fate sapeva fin troppo bene che l'artefice di tale disastro era la fata Svampita.
Quella fata, oltre ad aver combinato una serie di disastri, era riuscita a far ridere a crepapelle perfino gli orchi, loro eterni nemici, per i suoi ridicoli esperimenti di magia ; per non parlare poi degli umani che, come vedevano Svampita, scappavano a gambe levate, temendo di essere trasformati chissà in quali bestie strane!
La Regina mugugnava tra sè che Svampita non era una cattiva fata, ma la sua distrazione e la sua confusione con le formule magiche, avevano ormai reso ridicolo il fantastico mondo delle fate. Per non parlare poi dell'abbigliamento! Invece di vestirsi di azzurro, come tutte le fate, lei andava in giro per i boschi con i vestiti così colorati che anche le talpe, in piena notte, riuscivano a vederla.
La Regina delle fate, dopo aver bofonchiato a lungo su tutta la situazione, decise che era ora di richiamare Svampita all'ordine. La convocò urgentemente e lei arrivò, come sempre, con la testa fra le nuvole ed inciampando a più non posso. Naturalmente non si ricordava di aver creato degli strani animali e pertanto le fu un pò difficile capire le lamentele della Regina . Quando si rese conto della situazione si offrì di rimediare al danno ma la Regina, alzando gli occhi al cielo e sospirando a più non posso, le disse che per fortuna aveva già provveduto lei a far riprendere ai poveri animaletti le loro vere sembianze.
La Regina informò Svampita che per un pò di tempo non avrebbe più avuto la sua bacchetta magica e la rispedì di gran carriera alla scuola di Magia e Attenzione del gran Gufo Bador !
Povera Svampita! Fu un duro periodo per lei! Tutti i giorni studiava e si impegnava con le formule magiche ma la distrazione...quella era proprio difficile da combattere ! La Regina delle fate, che aveva ormai perso le speranze, ebbe un'idea: rese a Svampita la sua bacchetta magica e le chiese di occuparsi del giardino fatato dove, almeno ,non avrebbe combinato dei disastri....
Passarono alcuni mesi e la Regina delle fate decise di vedere cosa stava combinando Svampita con la sua pestifera bacchetta magica. Entrò nel giardino fatato e rimase abbagliata dai bellissimi e stranissimi fiori e dai loro colori meravigliosi: non aveva mai visto un giardino così bello e diverso da tutti gli altri giardini fatati. Capì che solo la distrazione di Svampita e la sua confusione con le formule magiche avevano reso possibile tutto ciò !
Svampita fu nominata, con sua grande felicità, Regina dei fiori e si occupò da allora in poi solo di loro con grande confusione e distrazione. Il successo fu garantito!
adima gabriela

mercoledì 16 maggio 2007

RAVAL

Raval era un antico villaggio, circondato da alte montagne e verdi prati. Nonostante l'apparente serenità, a Raval, da un pò di tempo, la discordia era di casa.
Gli abitanti del villaggio, i De Gufis ed i Civettonis, che fino a poco tempo prima erano buoni amici, erano passati alle vie di fatto: dispetti, insulti, calunnie...insomma una situazione veramente difficile!
Nessuno riusciva a pacificare gli animi da quando un Civettonis, per distrazione, aveva mangiato un verme che apparteneva ai De Gufis!
Il villaggio, proprio a causa di tale sciocchezza, si era praticamente diviso in due fazioni.
Gli unici felici erano i figli dei due litigiosi gruppi; giocavano tranquillamente e non si preoccupavano delle beghe dei loro genitori.
Un bel giorno, dopo una delle solite litigate, i Civettonis e i De Gufis decisero di costruire un muro di rami secchi e fango per dividere il villaggio a metà e separarsi definitivamente .
Nessuno di loro aveva però fatto i conti con i propri figli! Questi ultimi appena capirono le intenzioni dei loro genitori, unirono le loro piccole ali e fecero una catena di gufetti e civettini per impedire la costruzione del muro. Loro non volevano separarsi !
Sia i De Gufis che i Civettonis compresero che i loro piccoli figli erano sicuramente più saggi di loro. Decisero pertanto di riappacificarsi dopo essersi chiesti reciprocamente scusa.
Il villaggio di Raval riprese finalmente la sua vita normale e la serenità , da allora in poi, non fu più apparente.
Raval fece onore al suo nome, coniato dagli abitanti del villaggio con le iniziali di alcuni colori quali il rosso, l'arancio, il verde, l'azzurro, il lilla. Mescolati tra loro davano origine ad un unico ed indivisibile colore: quello dell'amicizia.
Adima Gabriela

venerdì 4 maggio 2007

LA TELA DI PENELOPE

Penelope era un ragno che viveva dentro una buia caverna insieme a tanti altri ragni. Penelope era diversa dagli altri ragnetti: romantica, sognatrice, insomma un po' eccentrica!
Mentre tutti i ragni tessevano la loro tela come natura comanda, lei invece no! Si era fissata che la sua tela doveva assomigliare ad un'opera d'arte e così tesseva ricami e fronzoli che colorava con i colori dei fiori. Risultato: gli insetti che doveva acchiappare scappavano tutti perchè i ricami colorati svelavano l'esistenza della tela. Penelope aveva per questo motivo sempre fame. Gli altri ragni, quando la vedevano affamata, le procuravano il suo cibo preferito: insetti e piccole larve. Appena Penelope sbatteva i suoi occhioni e sospirava gli altri ragni capivano che il suo stomaco brontolava.
Un giorno la tela di Penelope fu apprezzata da un grasso e ricco ragno che, per ricompensarla di tale bellezza, le regalò una tela piena di miriadi di insetti, affinchè lei potesse continuare a ricamare senza doversi privare del cibo.
Penelope divenne un ragno famoso e non si scordò mai dei suoi amici della caverna.
Adima Gabriela

giovedì 3 maggio 2007

IL PICCOLO FOLLETTO VERDE

Il piccolo folletto verde viveva in mezzo ai prati nascosto tra l'erba. A volte nessuno lo poteva vedere perchè si mimetizzava perfettamente con i fili d'erba.
Quando arrivava la primavera iniziava un periodo di gioco e di felicità per il folletto. Poteva intrufolarsi dentro i petali dei fiori profumati e divertirsi a fare gli scherzi alle farfalle e alle api che si cibavano del nettare. Gli piaceva in particolare soffermarsi sotto gli alberi di ciliegio in fiore. Quando c'era un po' di vento i petali delicati dei fiorellini di ciliegio cadevano sul prato alla rinfusa. Il folletto raccoglieva tutti i petali e costruiva un soffice lettino dove faceva il pisolino pomeridiano. Poi si svegliava e aspettava le amiche farfalle e le api che gli portavano un po' del nettare dei fiori. Tutti insieme si sedevano comodamente sulle foglie e facevano la merenda ridendo e scherzando.
Il folletto era felice e pensava di essere molto fortunato a vivere nel prato pieno di fiori freschi e profumati, circondato da amici sinceri.
Era piccolo piccolo ma aveva un cuore grande pieno di felicità. E questa era la sua più grande ricchezza.
Daniela

giovedì 19 aprile 2007

FLORALIA


L'isola di Floralia si affacciava sul Mare Incantato. Era bellissima, i suoi fiori erano di mille colori ed il mare cristallino si infrangeva pigramente, con le sue onde, contro la spiaggia dorata.
Il cielo era sempre azzurro e tutti i giorni spirava una lieve brezza che rendeva piacevole la vita ai suoi abitanti. Questi ultimi vestivano con abiti colorati tanto da confondersi con i fiori. Erano persone semplici, serene e condividevano tra loro gioie e difficoltà. I bambini potevano giocare liberamente sulla spiaggia e rincorrersi nei prati immensi. Insomma Floralia era un'isola felice!
Il capo del villaggio era un uomo anziano e saggio e si preoccupava del benessere della sua gente.
Egli possedeva un segreto tramandatogli da suo padre: un amuleto ed un pugnetto di monetine d'oro che appartenevano ad uno sciamano e da lui lasciati sull'isola nella notte dei tempi.
L'amuleto serviva a far vivere serenamente gli abitanti dell'isola, proteggendoli dalla cattiveria e dall'invidia ed il pugnetto di monete, a far comprendere come la serenità fosse raggiungibile anche senza la ricchezza.
Un giorno, un uccello impiccione, mentre volava sopra l'isola, sentì il capo del villaggio che tramandava tale segreto al figlio primogenito; forse per il rumore delle onde o per le grida dei bambini che giocavano, l'uccello capì ben poco di quello che diceva il capo del villaggio, ma, in compenso, si convinse dell'esistenza un immenso tesoro.
L'uccello non era solo un impiccione ( spesso i difetti viaggiano in compagnia!), ma anche un grande pettegolo e pur di rendersi interessante agli altri uccelli, spifferò il segreto ad uno stormo che volava sull'isola. Questo, a sua volta, lo raccontò ad un altro stormo e così via... Ognuno aggiungeva in tale racconto nuovi particolari , finchè tutti, compresi i pesci, conobbero il "segreto dell'isola".
Un giorno a Floralia arrivarono dei brutti ceffi che, spaventando gli abitanti, pretendevano di sapere dove fosse nascosto il tesoro del capo villaggio.
Il vecchio saggio, preoccupato per l'incolumità dei suoi abitanti , prese l'amuleto ed il pugnetto di monetine per consegnarli, seppur con molta tristezza, ai brutti ceffi. Questi appena videro il "tesoro", convinti che il vecchio si stesse prendendo gioco di loro, minacciarono pesanti ritorsioni contro gli isolani .
Il vecchio, ormai disperato, non sapeva più cosa fare.....
Improvvisamente, l'amuleto che teneva tra le mani, divenne grande, sempre più grande, enorme... una massa verdastra vischiosa che simile alla tela di un ragno si avvolse intorno ai brutti ceffi sollevandoli in alto, sempre più...per farli poi ricadere pesantemente sull'erba!
La massa vischiosa era lo spirito dello sciamano che riposava da secoli dentro l'amuleto!
Terrorizzati, i brutti ceffi, persero la loro baldanza e scapparono come dei conigli a gambe levate, inseguiti dagli abitanti e da tutti gli animali dell'isola. I brutti ceffi salparono precipitosamente e si scordarono per sempre di Floralia.
Ah! Dimenticavo! Che fine fece l'uccello impiccione e pettegolo? Lo sciamano, prima di rientrare dentro l'amuleto, lo trasformò in una gallina muta e lo mise in un pollaio dove, pur sentendo i migliori segreti, non potè più spifferarli!
adima gabriela

domenica 15 aprile 2007

LA RANOCCHIA INNAMORATA

La ranocchietta viveva nello stagno del castello; uno stagno luminoso e profondo pieno di ninfee morbide e colorate.
Era una ranocchietta vivace e sognatrice e spesso, fin troppo spesso, immaginava di trasformarsi in una bellissima principessa. A furia di sognare ad occhi aperti evitava gli altri ranocchi che invece, incantati dalla sua vivacità e curiosità, desideravano essere suoi amici.
Ma perchè la ranocchia sognava di trasformarsi in una bellissima principessa? Semplice! Si era follemente innamorata del capitano delle guardie reali che ogni sera, finito il suo turno di lavoro, si sedeva meditabondo su un muretto vicino allo stagno.
La ranocchietta lo osservava nascosta dietro le foglie delle ninfee, con il suo piccolo cuore in subbuglio. Come era bello il capitano nella sua divisa nera con gli alamari dorati!
Spesso si accostava a lui per farsi notare ma il capitano, infastidito, la cacciava via con un gesto della mano. Insomma la ranocchia non sapeva più cosa escogitare per farsi notare ed accettare dal suo amato. Ormai non aveva alcuna speranza.
Un giorno un piccolo folletto, comprendendo il tormento amoroso della ranocchia e stanco di passar le notti insonni a causa dei suoi continui lamenti , si offrì di realizzare il suo sogno ma solo per un breve periodo di tempo. La rana accettò immediatamente e ...voilà fu trasformata in una meravigliosa fanciulla.
La sera, quando vide il suo bel capitano, si avvicinò timidamente ed egli la guardò rapito dalla sua bellezza. Iniziarono a discorrere e dopo un bel pò di tempo la ranocchia si rese conto che pretendeva di parlare solo lui. Il capitano era vanesio e maleducato e mentre parlava con lei si infilava addirittura le dita dentro il naso! Che orrore!
La ranocchia si rese conto come il bell'aspetto del capitano fosse solo apparente; pian piano iniziò a vederlo come era realmente : un uomo sgradevole, dal volto grigio, dagli occhi spenti e dal cuore arido. Con amarezza comprese di essere stata superficiale e di aver dato importanza solo all'aspetto del bel capitano senza realmente conoscerlo!
Chiamò disperatamente il folletto e gli chiese di ritrasformarla in una ranocchia. Voleva ritornare nel suo mondo che aveva fino ad allora disprezzato, vivere accanto agli altri ranocchi che l'amavano per come era, vivace curiosa e...rana! Sperò ardentemente che i suoi amici l'accettassero ancora. Il folletto, che ben conosceva il capitano delle guardie, non se lo fece ripetere due volte, sperando che tale lezione fosse stata utile alla ranocchietta.
Da allora il folletto dormì sonni tranquilli e la ranocchietta visse felice, insieme agli altri ranocchi, nel suo luminoso stagno.
adima gabriela